Google contro Google: l’assurda convinzione che esista un solo Google

Penso di non aver mai scritto un titolo così tanto vittima del keyword stuffing ma visto che si tratta di un risultato non cercato ritengo di poterlo classificare tra le spontanee e fisiologiche conseguenze di una mancanza di ispirazione.

Mi va di scrivere qualche riga a seguito della recente notizia che ha visto Google penalizzare sé stesso dopo aver commissionato a terzi una campagna di marketing che ha prodotto post promozionali (e qualche backlink che passava PageRank) su vari blog, con l’apparente obiettivo di pubblicizzare un video di Google Chrome.

Non tratterò la notizia in sé (potete approfondirla in questo articolo di SearchEngineLand) ma vorrei chiarire un aspetto che ho notato essere poco chiaro a diverse persone che per un motivo o l’altro sono costrette ad avere a che fare con Google: l’assurda convinzione che si tratti di un singolo soggetto o entità.

Premessa ai fanboy e ai “èilsolitomagnamagnari”

Io ho sempre preferito riflettere col cervello invece che con la pancia, penso che il prodotto finale sia più apprezzabile.

Osservo spesso che in assenza di cultura, intelligenza o capacità di analisi dei fatti, molte persone spostano la discussione su temi politici e si focalizzano sulle caratteristiche etiche o morali dei soggetti invece che sui temi trattati.

Penso che le opinioni del tipo “Google è buono e non farebbe mai una cosa del genere” siano prodotte da ignoranza o da stupidità. Penso che le opinioni del tipo “Google fa schifo ed è il solito magna magna” siano prodotte da ignoranza o da stupidità.

In questo articolo proporrò alcune considerazioni personali sulla struttura di Google e la diffusione dei valori aziendali, fanboy e èilsolitomagnamagnari facciano il seguente esercizio: sostituiscano tranquillamente nei paragrafi seguenti “Google” con “Microsoft“.

Nonostante la sostituzione, buona parte delle affermazioni rimarranno valide, a testimonianza del fatto che sono state prodotte per spiegare come funziona l’organizzazione di una multinazionale, non per dare giudizi sulla natura etica e le ipotetiche intenzioni di una specifica azienda.

Curva di lucidità

Un buon riassunto su quello che penso della lucidità di analisi. (clicca per ingrandire)

Una semplificazione di troppo

Quando ci troviamo di fronte a qualcosa di elevata complessità, tendiamo istintivamente a semplificarne la comprensione riconducendola a modelli più semplici e possibilmente a noi familiari.

Per esempio, nonostante un qualunque motore di ricerca sia un software progettato sulla base di studi matematici e informatici e su algoritmi e nozioni di information retrieval sviluppate in anni di evoluzione della disciplina, ben pochi SEO approcciano l’ottimizzazione dei siti curandosi di come i motori funzionano internamente.

La prima ragione per la quale si fa ciò è che la conoscenza esatta dei meccanismi interni di un motore può essere considerata largamente superflua per gli obiettivi di ottimizzazione dei siti.

La seconda ragione è perché, anche volendo, la maggior parte dei SEO non avrebbe comunque le basi culturali per capire come funziona un motore di ricerca. Questo non significa che i SEO siano ignoranti ma solo che hanno seguito percorsi di formazione diversi da quelli degli ingegneri software e quindi non hanno vissuto quelle esperienze professionali che gli permetterebbero di comprendere a fondo come funziona un motore di ricerca.

La tecnica della semplificazione è applicabile in tantissimi altri contesti: laddove le nostre basi culturali o intellettive non ci consentono di comprendere come qualcosa funziona, tendiamo a semplificare l’analisi dello scenario in concetti più a portata di mano.

Dubito che qualcuno di noi abbia mai gestito una multinazionale con decine di migliaia di dipendenti e che in pochi riuscirebbero a comprendere anche solo di che tipo di organizzazione dotare un’azienda così grossa.

Qual è dunque il modello più vicino e più familiare che potremmo prendere in considerazione per analizzare e comprendere una gigantesca struttura composta da decine di aziende? Purtroppo, il modello più terra-terra al quale possiamo attingere è quello del singolo individuo, dell’essere umano.

Per capire meglio Google, si tende ad umanizzarlo e a considerarlo un’entità singola.

Purtroppo, a differenza della semplificazione che è conveniente e utile fare sul funzionamento di un software complesso, questa seconda semplificazione sull’identità di Google si rivela più drastica, eccessiva, e può portare a ragionamenti fuorviati.

Scalabilità e filosofia

Chiunque si sia trovato a gestire o anche solo vivere la crescita di un’azienda, anche piccola, si sarà sicuramente imbattuto nella necessità di garantire un’organizzazione ben funzionante anche all’aumentare di clienti, progetti, dipendenti, reparti o sedi.

Fino ad un certo numero di dipendenti e con una sola sede, il controllo dell’azienda può essere in teoria centralizzato anche su un solo soggetto, il CEO, sul quale gravano sostanzialmente tutte le decisioni principali.

Via via che l’impresa cresce, si impone l’obiettivo di non creare colli di bottiglia nei processi aziendali e quindi il CEO è indotto a individuare altre persone, renderle responsabili di qualcosa e demandare a loro parte delle proprie incombenze.

Nel fare ciò, non viene modificata semplicemente la quantità di lavoro svolta dal CEO e dai suoi subordinati ma viene sopratutto modificata l’organizzazione della stessa azienda e dei suoi processi interni, beneficiando di nuovi ruoli che non esistevano prima che il CEO demandasse formalmente alcune delle proprie mansioni.

Nel compiere questa trasformazione, il CEO perde il proprio ruolo di decisore diretto su molte delle attività che in precedenza gestiva da sé. Nasce anche una necessità che va affrontata: per potersi fidare delle persone a cui assegnare ruoli di responsabilità, il CEO deve avere a disposizione personale che condivida e sposi la filosofia che fino a quel momento è stata seguita dall’azienda, affinché le decisioni da loro prese siano espressione di quell’identità che l’azienda si è data nel tempo (e che influisce su altri aspetti quali il brand identity/image o il posizionamento sul mercato, ma qui divago…).

Su scala planetaria e per le aziende con sedi in decine di nazioni, il concetto di fondo non cambia, così come non scompare la necessità di individuare soggetti (non solo persone ma anche altre aziende da acquisire) in grado di condividere e sposare la filosofia aziendale.

Idealismo e realismo

Google soffre di un “handicap” che altre aziende non possiedono: si è dato come motto “Don’t be evil”, una frase che fa esplicito riferimento a valori etici e che garantirà a Google una condizione di sorvegliato speciale per tutta la sua vita, più di quanto avvenga nei confronti di altre società.

La storia ci insegna che tale motto doveva effettivamente essere sentito dalle prime persone che lo adottarono, Brin e Page in testa, che sin dalle prime scelte di business si schierarono contro la discutibile strategia di mischiare risultati sponsorizzati e organici, pratica frequente sui motori di ricerca di quegli anni.

Viene spontaneo chiedersi se l’ideologia e l’etica platealmente sbandierate sin dall’inizio delle attività nel 1998, sia state mantenute dalle decine di migliaia di dipendenti e dalle centinaia di aziende che oggi compongono questo mostro multicerebrale, che di comune ha per certo il brand. Ma cos’altro?

Tra un CEO che deve demandare alcune attività ed il dipendente a cui esse verranno affidate esiste un singolo grado di separazione. Tra il fantastico duo Brin-e-Page e l’ennesima succursale aperta in una nazione distante, quanti gradi di separazione esistono? Che probabilità c’è che al crescere dell’organismo gli ideali originali, distanti per tempo (1998) e spazio (Mountain View), si diffondano anche ai tentacoli più remoti?

Vale la pena ragionare su che cosa crea queste distanze.

Primo livello di separazione: produzione

Nelle grandi aziende un primo livello di separazione esiste tra le diverse linee di prodotti.

A seconda di quanto l’azienda madre ha deciso di rendere autonomi i team di prodotto, può succedere che essi abbiano non solo la possibilità di prendere decisioni relative al suo sviluppo tecnico ma anche la possibilità di amministrare autonomamente un budget da investire in attività di marketing.

La parola chiave è “autonomamente”: significa che per rendere le operazioni più snelle, ad alcuni team di prodotto possono essere concessi poteri decisionali su quali attività di marketing effettuare, con discrezione su modalità e strumenti.

Valutazioni e decisioni vengono prese dal team di prodotto, il responsabile finale è comunque Google US.

Secondo livello di separazione: economico

Un aspetto già accennato nel post sulle “10 cagate SEO” e che non mi stancherò mai di ricordare è che esistono due Google: Google Science e Google Money.

(con un pizzico di intuito, anche i non addetti ai lavori dovrebbero comprendere facilmente che molte aziende sono strutturate in modo da separare in modo piuttosto netto la produzione dalla vendita)

Il primo crea, il secondo monetizza. Interagiscono tra di loro ma non si pestano mai i piedi a vicenda. In altre parole, gli idealisti di Google Science non rompono troppo le balle a Google Money e Google Money si fa forte della posizione di essere quello che porta i soldi in famiglia.

Anche questa differenziazione crea un’ulteriore separazione, un nuovo canyon nel quale i buoni propositi possono cadere e giungere a destinazione solo in parte.

Ovviamente Google Money possiede un grande grado di libertà decisionale sulle attività che gli competono, su come portarle avanti e con che mezzi.

Valutazioni e decisioni vengono prese da Google Money, il responsabile finale è comunque Google US.

Terzo livello di separazione: geopolitico

Banana Se provi ad aprire una succursale di Google in una repubblica delle banane, otterrai un Google delle banane.

Al di là di esempi specifici, mi limito a suggerire una riflessione sulle influenze che la cultura locale, sia imprenditoriale sia dell’etica, può avere sull’espressione di una qualsiasi multinazionale che si decide ad aprire una filiale in una nazione.

Come detto in altra sede, è un discorso complesso e delicato sul quale forse ritornerò in futuro. Ma non oggi.

Molte valutazioni e decisioni vengono prese dalla Google nazionale, il responsabile finale è comunque Google US.

Differenza tra decisore e responsabile

La ragione per la quale sono stato indotto a scrivere questo articolo è che ho letto sul web una quantità smodatamente alta di opinioni che partivano dal presupposto che di Google decisore ce ne fosse solo uno.

Come spiegato nei paragrafi precedenti, distribuire il potere decisionale tra soggetti diversi è una semplice pratica per snellire i flussi e per gestire al meglio l’organizzazione delle aziende che sviluppano molti prodotti e che operano su molte nazioni.

Quale fenomeno mi piacerebbe osservare in futuro? Beh, sarei contento di osservare considerazioni su Google che specifichino di quale Google si sta parlando. Alla nascita dell’ennesima merdata con marchio Google, ho letto domande del tipo (parafrasando): “Ma secondo te Google non ne sapeva niente?”. Ma di quale Google si parla?

Credere che ogni microscopica decisione sul marketing di un prodotto sia un’emanazione diretta di direttive provenienti da Google Mountain View, significa avere una povera comprensione di come è organizzata un’azienda.

La verità è che più un organismo multitentacolare ingloba soggetti, più ciascuno di questi soggetti introduce un elemento di imprevedibilità, in barba a tutte le direttive teoriche ed i buoni propositi che possono essere emanati “dall’alto”.

Qui ha ragione Nereo Sciutto, quando dice che Google non è un borg. Non esiste una coscienza collettiva e unica ma, come in tutte le aziende, degli esseri umani che combinano casini perché umani e perché qualcuno ha assegnato loro abbastanza potere per poter fare danno.

Google contro Google: l’ideologia non condivisa

Non sono il solo a ritenere che molte delle stupidaggini fatte da cellule di Google fossero il frutto di iniziative profondamente incompatibili con le direttive di Mountain View.

Si è parlato molto di penalizzazioni sulle SERP che Google avrebbe inferto a sé stesso, alcuni si sono stupiti ed hanno ironizzato sulla natura schizofrenica del paziente.

Ma non c’è schizofrenia e non c’è da stupirsi: quando si realizza che stiamo parlando di un agglomerato ordinato di decisori diversi, tutto diventa chiaro e non ci si stupisce più.

Un’ultima considerazione sulle penalizzazioni: si parla molto di quelle sulle SERP ma io sarei più curioso di scoprire se sono stati presi provvedimenti sui responsabili delle decisioni che si sono rivelate contrarie alle policy di Google.

I casi sono tre:

  • il decisore di turno non conosceva le policy
  • le conosceva ma se n’è infischiato
  • le conosceva ma era tanto ignorante da non capire che la decisione avrebbe prodotto effetti contrari alle policy

In tutti i casi, mi pare che il vero fail sia stato sulla selezione e/o educazione del personale.

11 Responses to Google contro Google: l’assurda convinzione che esista un solo Google

  1. Marco Cilia scrive il 5 January 2012 at 10:19

    è chiaro, ed era già in parte emerso al tempo in cui Google Search ha nascosto le chiavi degli utenti loggati, lasciando sgomenti gli utenti – e credo anche lo staff – di Google Analytics 🙂

  2. Alessandro Banchelli scrive il 5 January 2012 at 11:30

    Enrico,

    Più generi fatturato, più di fatto degeneri e come dici tu non è una questione di etica d’impresa ma dell’epica delle grandi aziende. Può capitare. Non c’è da stupirsi.

    Delegare e dialogare spesso nelle grandi aziende non fanno rima, anzi remano contro e tutto fa parte del gioco. Nessuna sorpresa, nessuno scandalo… e tutto questo perché per centrare i risultati non puoi di fatto accentrare le decisioni.

    Il disprezzo delle regole non ha prezzo? Forse si e viene calcolato sulla base dei risultati che la singola business unit deve ottenere quarter dopo quarter.

    Nessuna sorpresa, nessuno scandalo.

  3. EmanueleEMC scrive il 5 January 2012 at 13:32

    Questo post mi ha fatto ricordare il documento Google SEO Report Card di qualche anno fa…. con risultati incredibilmente bassi!

    Quindi nulla di nuovo in casa G.
    Anche se poi le autopenalizzazioni non è detto che siano negative.

    Condivido il post, ottima anlisi. Quelle che non condivido invece sono le “10 cagate seo”. Se elimini quelle che “ci fanno credere che siano cagate” poi elimini “quelle che dovrebberlo esserlo ma per l’algoritmo ancora non lo sono” ed infine quelle “che i Web MarComm vogliono assolutamente” ….. cosa rimane 😉

    Povero vecchio algoritmo!

  4. salvatore scrive il 5 January 2012 at 17:50

    La tendenza ad umanizzare tutto è tipicamente … umana: semmai il fatto che qualcuno si “scandalizzi” che Google si sia autopenalizzata testimonia un pressappochismo ed un tasso di provincialismo quantomeno preoccupante. Certe persone, insomma, mi fanno capire che se stessero dentro Google non farebbero altro che fare apparire il blog della fidanzata per tutte le ricerche del mondo, con tanto di cuoricini annessi. Insomma, l’occasione fa l’uomo ladro…

    Ottima analisi cmq, ci avrei messo un secolo a farne una così :-D, e confermo la mia impressione di fondo (che ti ho scritto anche su G+): può anche darsi che si tratti di un mera trovata markettara, magari sfuggita un po’ dal controllo, oppure – come dici tu all’inizio – Google è semplicemente un “mostro” che viene sorvegliato a vista qualsiasi cosa faccia (o dica di fare). Se ci metti in mezzo una maggioranza mediamente paranoide il quadro torna…

  5. Nereo scrive il 5 January 2012 at 18:51

    Se dovessi scommettere direi che “le conosceva ma era tanto ignorante da non capire che la decisione avrebbe prodotto effetti contrari alle policy”.
    Più facilmente, non aveva idea di come sarebbe stato portato avanti nei fatti il lavoro e quindi ha acquistato un servizio focalizzandosi sul risultato senza mettere in chiaro cosa si potesse fare e cosa no per raggiungerlo.

    Comunque, ottimo post! …e grazie anche per la citazione 🙂

  6. Giovanni Cappellotto scrive il 9 January 2012 at 01:27

    Ho lavorato per molti anni in diverse aziende multinazionali. La logica che pervade le politiche aziendali è una logica di tipo militare. Occupare gli spazi, avanzare, arretrare, attaccare, difendere. La realtà è poi molto più complessa di come si immagini perché esistono obiettivi da raggiungere, obiettivi generali e particolari. E la divisione territoriale e per competenze, accentua la competitività interna che è una fortissima molla al raggiungimento degli obiettivi.Non raggiungerli, mancarli, mette in pericolo la sopravvivenza della sezione (la filiale nazionale ad esempio) o della competenza.
    In tutte le organizzazioni complesse vale poi il principio di Peter enunciato nel 1969: “in una gerarchia ogni membro tende a raggiungere il proprio livello di incompetenza” e questo spiega a volte gli errori ed i fallimenti, da cui le organizzazioni complesse che durano nel tempo riescono comunque ad apprendere e migliorare.

    • LowLevel scrive il 10 January 2012 at 07:33

      @Giovanni Cappellotto: convengo che il modello “militare”, di forte stampo gerarchico, sia quello largamente in uso. In teoria, se considerassi Google un agglomerato di soggetti dal comportamento simile e coerente, dovrei rimanere perplesso nel momento in cui osservo tale modello gerarchico applicato da chi formalmente predica in pubblico i vantaggi dell’allontanamento dal modello gerarchico; si veda questo video in cui Schmidt afferma:

      I will tell you that the Google model will work just fine in Europe […] as long as you make one change and that change is that you have to change the relationship of the boss and the subordinates. The European corporate model is very hierarchical, you have manager boards, everyone rounds around, you know, “I’m in charge”, that kind of thing… That doesn’t work with highly creative people who can move quickly.

      Nella pratica non mi perplimo, perché osservo che parti differenti di Google applicano, ciascuna, modelli diversi. In altre parole, le incongruenze scompaiono nel momento in cui si prende atto dell’esistenze di soggetti multipli, non accomunati dall’applicazione di una politica aziendale comune e condivisa.

  7. Carmelo scrive il 9 January 2012 at 13:16

    Concordo su molte cose, ma una è totalmente da rivedere : la netta distinzione tra risultati organici naturali e annunci a pagamento.

    Se questo (forse) lo fá Google nella sua homepage, dividendo in 2 parti, cioè a sinistra e destra, tutti i siti web che hanno aderito ad Adsense, cercano mi mischiare, anche a livello grafico i propri contenuti, con i risultati degli annunci.

    Quindi se l’idea di fondo è offrire il miglior risultato agli utenti nei risultati organici, l’effetto finale (ciò che non si vede) deve essere per forza di cose, indirizzare il traffico verso i risultati a pagamento.

  8. Carmelo scrive il 10 January 2012 at 03:04

    Quello che volevo far notare (mi esprimo meglio) che anche se la maggiorparte di utenti Google cliccano sui risultati organici… 1 volta su 2 quindi il 50% delle volte, nelle Serp ai primi posti si trovano siti web frequentati che usano Adsense, il cui scopo è quello di indirizzare gli utenti sui risultati a pagamento!

    Google è una multinazionale quotata in borsa, che offre servizi web con dei bilanci di miliardi di dollari e anche la parte piú scientifica di questa macchina è a scopo di lucro.

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