Piersante Paneghel: video corso SEO con annesso markettone

Questo post è stato creato con l’unico obiettivo di ottenere una cena pagata. Le cose sono andate nel modo che segue…

Piersante Paneghel, amico e collega in SearchBrain, ha prodotto per Madri un video corso SEO nel quale spiega cose illuminanti, ma non è questo il punto importante. Il punto importante è che Piersante guadagna con le affiliazioni e siccome lui non ha un sito web (in quanto affetto da congenita pigrizia), io ospito il suo link da affiliato sul presente post e con quello che lui ricava dalla vendita del corso mi offre una cena!

Una cena! Chi mi conosce bene sa quanto io valuti il cibo.

Il titolo del corso è “SEO Avanzato per Siti Web di grandi dimensioni, Portali e Siti di E-commerce“; la regia, con tutta evidenza, di Lina Wertmüller.

Eviterò di evidenziare il fatto che si tratta del primo video corso di uno dei maggiori esperti di SEO in Italia. Eviterò di sottolineare che da lui arrivano sempre metodologie applicabili al proprio lavoro. Tralascerò di dire che il prezzo è abbordabilissimo. Ed eviterò di affermare esplicitamente che tutte le frasi del presente paragrafo sono preterizioni.

Piuttosto, ecco qua la pagina col video della presentazione del corso SEO di Piersante, ricordandovi che nell’URL del link (e degli altri presenti in questo post) è presente un parametro che mi permetterà di ottenere la mia cena.

E siccome sono un po’ bastardo, allego anche al presente post un curioso fotogramma del video di presentazione del corso nel quale Piersante, ormai asservito al satanico meccanismo delle affiliazioni, mima inconsciamente l’eloquente gesto della moneta.

Fotogramma del video di presentazione del corso SEO

Parte seria

Riuscire a divulgare l’esperienza di Piersante Paneghel al di là dei corsi in aula che lo hanno visto docente rappresenta un’opportunità rara e da non perdere. Il video corso è un concentrato di oltre tre ore di SEO distillato, puro. La possibilità di fruirlo comodamente ed il prezzo abbordabile dovrebbero essere due grandi incentivi per permettere a SEO freelance, in-house e agenzie SEM di confrontare i propri metodi con quelli spiegati da Piersante e di acquisire nuove idee da un professionista che, da tutti, è considerato un punto di riferimento in Italia per il search marketing.

Clicca qui per la pagina con tutte le informazioni sul corso!

Pronto per voi: un sistema di aggiornamento su SEO, SEM e IR

La paura di essere sommersi dalle troppe informazioni è uno dei principali deterrenti all’aggiornamento, tanto che molti professionisti preferiscono aggiornarsi meno pur di non affrontare la mole di notizie che esce quotidianamente o la montagna di notizie arretrate mai lette.

Tazza di caffé con feedNel corso degli anni ho perfezionato il mio sistema di aggiornamento sulle novità SEO, SEM ed IR. Per carità, non si tratta di nulla di sofisticato ma, semplicemente, un insieme di strumenti, fonti e piccole accortezze per mantenersi aggiornati risparmiando tanto tempo.

Il sistema che uso io è:

  • semplice, perché usa un software disponibile a tutti: Google Reader
  • selettivo, perché tiene d’occhio solo i feed che mi interessano di più, che ritengo essere una buona cernita tra quelli più importanti nel settore SEM
  • furbo, perché fa uso di un plugin per il browser che evidenzia i post più “caldi” del momento e permette di risparmiare tempo

Ma la caratteristica più interessante è che tutto il sistema è facilmente condivisibile, nel senso che potete adottarlo anche voi con pochi click, aggiornandovi costantemente senza rischiare di essere sommersi dalle troppe informazioni.

Primo passo: Google Reader

Il primo passo da compiere è usare Google Reader, il feed reader di Google. Questo implica che dovete possedere un qualsiasi account Google: se usate un qualsiasi servizio di Google che richiede un login, allora avete già un account Google. Altrimenti createne uno.

Secondo passo: iscriversi ai feed

Per facilitare l’iscrizione ai feed vi propongo di iscriversi ai “bundle” che ho creato con Google Reader e ai quali potete iscrivervi semplicemente cliccando sui pulsantiIscriviti” o “Subscribe” che trovate di seguito: da quel momento in poi le news appariranno sul vostro Google Reader.

Ho creato tre bundle: uno dedicato alle risorse SEM internazionali, un altro dedicato alle risorse SEM italiane ed un terzo dedicato alle risorse sull’Information Retrieval. Potete iscrivervi ad uno o più di essi, a seconda dei vostri interessi.

Nota: cliccando su “Anteprima” potete prendere visione delle news attualmente proposte da ciascun bundle e anche esportare gli indirizzi dei feed in formato OPML, che si può importare in qualunque feed reader, nel caso non vogliate usare Google Reader.


Terzo passo: installare il plugin PostRank

Screenshot di Google Reader con PostRank installato

Come appaiono le indicazioni PostRank su Google Reader

PostRank è un servizio di monitoraggio del buzz online che, tra i vari tool offerti, propone anche un plugin gratuito per i browser Chrome, Safari e Firefox in grado di evidenziare su Google Reader le notizie più “calde” del momento o, generalmente, quelle che godono della maggiore attenzione della comunità.

Chi usa Internet Explorer si attacca.

Allego al post uno screenshot che mostra il plugin associare a ciascun post su Google Reader un indice numerico che ne indica la popolarità. Il sottoscritto giudica questa caratteristica una vera manna dal cielo, perché consente di individuare a colpo d’occhio i post più interessanti e ridurre i tempi necessari ad aggiornarsi. Se lo preferite, il plugin consente anche di mostrare in Google Reader esclusivamente i post che superano un certo valore dell’indice PostRank.

Se usate Chrome o Safari, potete installare il plugin di PostRank per Google Reader da questa pagina, con un semplice click.

Nel momento in cui scrivo, il supporto per Firefox è stato purtroppo temporaneamente sospeso da PostRank a causa di difficoltà di aggiornamento con Firefox 4, tuttavia facendo qualche ricerca ho beccato l’URL dello script originario. Se usate Firefox potete quindi procedere così:

  1. installate prima il plugin Greasemonkey
  2. installate lo script di PostRank per Greasemonkey

Un punto di partenza

Quanto vi ho proposto è solo un punto di partenza per tutti coloro che finora non hanno individuato un modo ottimale per seguire le tante novità che circolano in rete sul search marketing.

Vi invito ad ampliare la selezione di feed che ho proposto io, aggiungendo ai vostri feed reader risorse che reputate interessanti e, se vi va, creare anche voi dei bundle su specifici argomenti, da condividere con gli altri utenti in rete. 🙂

Il formato WebP di Google e il movimento anti-JPEG

Nota: questo post è un esercizio per spiegare concetti complessi con parole semplici.

Nella sua crociata per velocizzare il Web, Google sta operando su diversi fronti, evangelizzando le masse, fornendo strumenti per ottenere siti web più reattivi e investendo in nuove tecnologie che promettono un Web più veloce e più facilmente fruibile.

Una delle nuove tecnologie sviluppate è il formato per immagini WebP, che nelle intenzioni di Google mira a sostituire l’ormai anziano formato JPEG. Per ragioni inspiegabili, Google ci informa che la pronuncia di “WebP” è “weppy”.

Visto che le tecnologie che stanno dietro il formato JPEG (e agli algoritmi di compressione in genere) sono una mia passione, ne approfitto per raccontare un po’ le caratteristiche del JPEG e quello che si prospetta un possibile futuro.

I ferri del mestiere

Cubo di metallo compressoPer introdurre il magico mondo della compressione mi limiterò ad indicare due semplici nozioni di base:

  • le ripetizioni di elementi simili sono più facilmente comprimibili rispetto ad elementi apparentemente casuali. Per esempio, molti algoritmi di compressione riescono a comprimere la stringa di caratteri “aaaaaaaa” più facilmente della stringa “*c_f9)Ql”.
  • alcuni algoritmi di compressione hanno l’obiettivo di riprodurre, in fase di decompressione, esattamente le informazioni originarie;
    altri algoritmi di compressione hanno invece l’obiettivo di riprodurre, in fase di decompressione, informazioni simili a quelle originarie (simili per l’occhio umano quando si tratta di immagini o video, simili all’orecchio quando si tratta di informazioni audio). Accettare una parziale perdita delle informazioni originarie consente di comprimere di più.

Il formato JPEG

Il formato JPEG è nato per comprimere le immagini accettendo una parziale perdita delle informazioni originarie (compressione detta lossy), compromesso che consente di ottenere compressioni maggiori a scapito della qualità dell’immagine decompressa, che non combacia più esattamente con l’immagine di partenza.

Tutti i formati di compressione che prevedono una perdita parziale delle informazioni originarie devono fare i conti con un aspetto critico della progettazione dell’algoritmo: decidere quali informazioni originarie vanno sacrificate e quali vanno mantenute.

Per la compressione delle immagini, questa decisione viene solitamente presa tenendo conto delle caratteristiche dell’occhio umano e della sua capacità di percepire luminosità e colori. L’idea di fondo è quella di accettare di perdere maggiori informazioni su quegli elementi visuali verso i quali l’occhio umano è meno sensibile.

Per esempio, nel formato JPEG:

  • essendo l’occhio umano più sensibile ai dettagli della luminosità rispetto ai dettagli del colore, le componenti di luminosità e di colore dell’immagine vengono separate. La componente della luminosità viene mantenuta inalterata mentre la componente del colore viene ridotta, per esempio prendendo la componente colore di quattro pixel adiacenti e conservando una loro semplice media. In questo modo la componente del colore è stata ridotta ad un quarto della quantità originaria.
  • essendo l’occhio umano in grado di notare più facilmente i piccoli dettagli su sfondi uniformi rispetto a molti piccoli dettagli contigui e accorpati, dei blocchetti rettangolari di pixel vengono scomposti con una formula matematica in grado di separare le informazioni sulle variazioni infrequenti (di luminosità o colore) dalle informazioni sulle variazioni frequenti, che sono più simili a semplice “rumore di fondo”. Queste ultime vengono poi divise per delle costanti in modo che alla fine si ottengano valori molti bassi: serie di zeri o di piccoli numeri interi che, come spiegato in “i ferri del mestiere”, essendo ripetizioni sono più facilmente comprimibili.

Una volta scartate le informazioni meno strategiche, i dati rimanenti vengono compressi con una variante di un classico algoritmo senza perdita di (ulteriori) informazioni, quello di Huffman.

E’ importante specificare che il formato JPEG permette di modificare diversi parametri del processo di compressione e che quanto descritto sopra è semplicemente un esempio di uno scenario tipico, non l’esatto e immutabile iter che la compressione deve seguire.

Limiti e futuro del formato JPEG

Col passare degli anni il formato JPEG ha risentito dell’età, in primo luogo perché sono nati algoritmi di compressione migliori e più sofisticati ed in secondo luogo perché ci si è accorti che se alcune piccole accortezze fossero state prese durante la progettazione del formato JPEG, l’algoritmo stesso avrebbe potuto conseguire risultati di compressione ben maggiori.

Queste accortezze non possono essere “aggiunte a forza” oggi nel formato JPEG, perché, come tutti i formati esistenti, ha dei limiti alla capacità di essere esteso senza perdere la compatibilità col passato.

Per esempio, grandi miglioramenti della compressione potrebbero essere ottenuti semplicemente sostituendo l’algoritmo Huffman con altri più moderni. Ma farlo significherebbe produrre file JPEG che non potrebbero essere decompressi (e quindi visualizzati) da tutti i software vecchi, in grado di gestire solo i file JPEG nei quali viene usato l’Huffman.

Dopo il JPEG sono nati decine di formati immagine in grado di garantire compressioni e qualità maggiori; uno di questi formati, il JPEG 2000, è stato progettato dalla stessa organizzazione che progettò il JPEG. Nessuno di questi nuovi formati si è diffuso fino al punto di riuscire a scalzare il JPEG.

La situazione, per riassumere, è che oggi possediamo tecnologie e algoritmi di compressione di gran lunga superiori rispetto a quelli che esistevano quando il formato JPEG è nato e che se fosse possibile sostituire magicamente tutte le JPEG sul Web in formati più moderni, otterremmo un Web più veloce e reattivo.

Proprio prefiggendosi l’obiettivo di ottenere un Web meno pesante, tra le aziende che hanno proposto nuovi formati immagine sostitutivi del JPEG c’è anche Google, col suo formato WebP.

Il formato WebP di Google

Logo WebPLe cose stanno così: il formato WebP è stato fortemente criticato in quanto comprime le immagini scartando informazioni utili all’occhio umano per percepire un’immagine quanto più simile a quella originaria.

In altre parole, quelle stesse informazioni che il formato JPEG tende a preservare, nel formato WebP possono invece andare perse in buona parte ed il risultato è che le immagini ricostruite in fase di decompressione possono apparire più sfocate rispetto all’originale.

Da un lato, Google decanta le lodi del formato mostrando statistiche che lasciano intendere la sua superiorità rispetto al JPEG, dall’altro esiste una comunità di informatici (in particolare esperti del codec video H.264) che fanno notare che le statistiche di Google non hanno tenuto conto degli aspetti “psicovisuali” (le informazioni e i dettagli che agli occhi umani rendono l’immagine più naturale e simile all’originale) nello stimare la qualità ottenuta dal formato WebP rispetto al JPEG.

Per farvi un’opinione tutta vostra, possono esservi utili i due seguenti link:

  • una pagina di Google, nella quale vengono comparate alcune immagini JPEG con le corrispettive WebP. Si noti però che la comparazione si focalizza sulla maggiore capacità di compressione del WebP a parità di qualità dell’immagine risultante. Potete vedere le immagini WebP solo con Chrome o con l’ultima versione beta di Opera in quanto, nel momento in cui scrivo, sono gli unici browser che supportano il nuovo formato di Google.
  • una pagina in cui si fanno le pulci al formato WebP, comparando una sua immagine con la corrispondente JPEG e con quello che si potrebbe ottenere comprimendola con lo stesso algoritmo usato per il formato video H.264 (“concorrente” del formato video VP8 di Google, sul quale WebP si basa). Per vostra comodità linko direttamente i tre risultati, trasformati in normali immagini PNG in modo che siano visualizzabili con qualunque browser: compressione JPEG, compressione H.264 e compressione WebP.

Il formato WebP, come ci si aspetterebbe, esce vincitore dalla prima comparazione e bastonato dalla seconda.

La politica pesa più della qualità?

Nel chiedermi che cosa ci vorrebbe per riuscire a sostituire gradualmente il formato JPEG sul Web e per rendere la rete un po’ più veloce, mi risponderei: politica.

La storia dei formati e dei protocolli è ricca di episodi che dimostrano che le tecnologie che si diffondono di più non sono necessariamente le migliori. A volte la loro diffusione è semplice conseguenza di accordi commerciali o politici, nati per spingere sul mercato un prodotto a discapito di competitor più performanti ma meno agguerriti lato business.

La graduale sostituzione del formato JPEG con un formato in grado di comprimere di più è un obiettivo ambizioso che potrebbe essere raggiunto, paradossalmente, a prescindere da quanto sia migliore la qualità delle nuove immagini. Si tratta di una situazione nella quale marketing e accordi commerciali potrebbero essere gli unici concreti strumenti per indurre software house, siti web, organizzazioni ed aziende ad adottare in massa un nuovo formato, qualunque esso sia.

Logo di OperaE’ di pochi giorni fa la notizia che Opera ha adottato WebP come formato immagine per il proprio servizio Opera Turbo, sostituendo il formato JPEG. Opera Turbo non è altro che un servizio di proxy messo a disposizione degli utenti del browser Opera: la richiesta di una pagina web arriva ai server di Opera, che scaricano la risorsa e la rispediscono all’utente dopo aver compresso maggiormente tutte le immagini presenti nella pagina (con perdità di qualità rispetto alle immagini pubblicate). Il servizio è particolarmente utile a tutti gli utenti che possiedono connessioni lente.

Fino a pochi giorni fa per l’ulteriore compressione delle immagini veniva usato il formato JPEG stesso, adesso viene usato il formato WebP. Una nota interessante riguarda il fatto che proprio sulla pagina sopra linkata, che annuncia la novità, è presente una comparazione di un’immagine JPEG ricompressa a qualità minore e ricompressa con WebP. La versione WebP sembra globalmente più nitida ma vi faccio notare l’involontario “lifting” della fronte della persona ritratta, che è correlabile alla perdita di dettagli messa in luce dai critici del nuovo formato.

L’adozione del formato WebP da parte di Opera Turbo non deve però trarre in inganno e passare come un indice della maggiore qualità del formato in sé; bisogna tenere conto di quanto Opera cercava: un algoritmo in grado di comprimere più del formato JPEG presentando una qualità globale maggiore. Il che significa che fino a quando i byte sono meno e la nitidezza complessiva dell’immagine è maggiore, per Opera Turbo è accettabile fare il lifting alle persone ritratte in foto.

Se il formato WebP dovesse diffondersi ulteriormente e dovesse venire supportato dai principali browser, tante persone ritratte sul Web potrebbero essere contente di questo utile antirughe informatico. E senza dover pagare un grafico Photoshop! 🙂

Brute-force verso Google e codice PHP per le disposizioni

Nel precedente articolo sui servizi nascosti o segreti di Google, Fabio Schenone aveva chiesto nei commenti quando avrei svolto un attacco brute-force.

Ho accolto il suggerimento di Fabio ed ho cercato URL di Google nella seguente forma, assegnando al parametro “tbm” tutte le possibili stringhe di tre o di quattro caratteri basate sull’alfabeto inglese:

http://www.google.com/search?q=test&hl=en&prmd=ivnsfd&source=lnms&tbm=XXXX&sa=X&oi=mode_link&ct=mode&cd=4

(per maggiori informazioni sull’URL sopra indicato vi invito a leggere le spiegazioni nel post precedente)

Quantità delle interrogazioni

Disposizioni con ripetizione (permutations)
Le possibili stringhe di testo lunghe tre caratteri, ciascuno dei quali può essere uno qualunque dei simboli dell’alfabeto inglese sono esattamente 17576 (26^3).

Le possibili stringhe di testo lunghe quattro caratteri, ciascuno dei quali può essere uno qualunque dei simboli dell’alfabeto inglese sono esattamente 456976 (26^4).

In totale ho dunque fatto 474552 interrogazioni, che non sono servite ad un fico secco perché non ho scoperto ulteriori servizi nascosti. Gli unici individuati rimangono dunque quelli osservati e pubblicati nel post precedente.

Codice PHP per le disposizioni

Oltre a disporre di una batteria di Xenu, per produrre tutte le stringhe/URL da interrogare ho sviluppato una semplice funzione PHP che produce l’elenco di disposizioni (con ripetizione) ottenibili. Non ho idea se mai mi servirà ancora in futuro, quindi ve la fornisco nella speranza che possa un giorno essere utile a qualcuno di voi.

Per esempio, chiamando la funzione con i seguenti parametri: permutations(“ab”, 3); si ottiene in output un array contenente le stringhe: aaa, aab, aba, abb, baa, bab, bba, bbb.

  /**
   * Permutations
   *
   * Returns an array of strings containing all the
   * ($alphabet ^ $output_length) permutations
   *
   * @alphabet (string|array) set of at least two elements to choose from
   * @output_length (int) the number of elements in each output string
   */
  function permutations ($alphabet, $output_length=1) {

    $output = array();

    if ($alphabet AND ($output_length > 0)) {

      // Handles both string alphabets and array alphabets
      if (is_string ($alphabet)) {
        $alphabet_length = strlen ($alphabet);
        $symbol = str_split ($alphabet);
      } elseif (is_array ($alphabet)) {
        $alphabet_length = count ($alphabet);
        $symbol = $alphabet;
      } else {
        return $output;
      }

      if ($alphabet_length < 2) return $output;


      // Creates a -1 index in order to avoid the out-of-bounds
      // warning during the last loop of the do-while structure
      $pointer = array_fill (-1, $output_length+1, 0);
      
      // How much iterations to perform
      $iterations = pow ($alphabet_length, $output_length);
  
      // To avoid all the "- 1"...
      $alphabet_length--;
      $output_length--;
  
      // Do the job
      for ($i=0; $i < $iterations; $i++) {
        $permutation = "";
        for ($c = 0; $c <= $output_length; $c++) {
          $permutation .= $symbol[$pointer[$c]];
        }
        $output[] = $permutation;
  
  
        // Updates the pointers
        $c = $output_length;
  
        do {
          $pointer[$c]++;
          if ($pointer[$c] <= $alphabet_length) {
            break;
          } else {
            $pointer[$c] = 0;
            $c--;
          }
        } while (TRUE);
      }
    }
    
    return $output;
  }

I disegni di Milk (Chiara)

Da qualche mese ho fatto la conoscenza di Milk o, meglio dire, dei suoi lavori. Milk è il nome d’arte di Chiara, una disegnatrice americana della quale si conoscono pochissimi particolari e che, ammantata da questo anonimato, realizza illustrazioni che agli occhi del sottoscritto hanno pochi eguali.

Si tratta di illustrazioni dure, cariche di dolore, che ritraggono scene surreali dove tristezza e dettagli fortemente simbolici si fondono e danno vita a delle opere d’arte di rara forza evocativa.

Un'opera di Milk: 777-10

777-10. Copyright © Milk.

Dei suoi disegni stupisce la ricchissima presenza di dettagli, nessuno dei quali rivela il proprio significato ma che, assieme, costituiscono un perverso gioco al quale l’osservatore può partecipare, tentando di collegare tra loro simboli e indizi, frasi e oggetti.

E’ però un gioco senza fine, perché non ha soluzione. I significati, per quanto cercati, sono destinati a rimanere reconditi o frutto di congetture; ciò che resta sono semplicemente le emozioni che le illustrazioni suscitano.

E’ difficile non rimanere affascinati dalle relazioni tra i vari disegni: dalle nuvole talvolta cadono lacrime, altre volte precipitano aerei; molte opere condividono elementi quali la contrapposizione tra uccellini pieni di vita e i loro corrispondenti scuri, cantori di morte. Su tutto, impera la musica, che spesso nasce dal cuore dei soggetti ritratti.

La produzione di Milk non è per tutti i palati, probabilmente. Per ritrarre il dolore, quasi sempre l’artista mostra ferite, membra trafitte e scene vicine alla morte.

Scrivo questo post solo per farvela conoscere, pubblicando uno dei suoi disegni che mi piacciono di più e invitandovi, se ispirati, a dare un’occhiata alla sua galleria su Myspace e a questa intervista che le è stata fatta nel 2009.