Il giornalismo SEM in Italia: inesistente?

Come spiegavo nell’articolo della scorsa settimana, SEO Quotidiano doveva essere nelle mie intenzioni un progetto di solo un paio d’ore, per vedere che cosa riuscivo ad ottenere in quel poco tempo.

SEO QuotidianoLe cose non sono andate come mi attendevo: un po’ perché sono nate tante richieste sull’aggiunta di nuove caratteristiche al servizio, un po’ perché quella ciofeca di PostRank ha smesso di aggiornare il feed dal quale mi approvvigionavo, costringendomi a investire tante nuove ore per sviluppare delle routine che si interfacciano direttamente con la API del servizio.

In conseguenza di ciò e del nervosismo maturato per aver perso un’intera domenica, non nutro particolare simpatia per questo progetto, anche se ha riscosso interesse. Tuttavia mi ha dato modo di osservare diverse cose sulla produzione di articoli SEO/SEM di lingua italiana.

La quantità di articoli SEO in Italia

SEO Quotidiano fa fatica ad aggiornare la colonna degli articoli in italiano. Il problema è che la quantità di notizie in italiano è talmente bassa che selezionando gli ultimi 15 post del settore c’è il rischio che il quindicesimo risalga a molti giorni addietro.

In altre parole, e prescindendo per il momento dagli aspetti qualitativi, il problema principale è la carenza di fonti SEO italiane.

Ho anche avuto difficoltà a cercare fonti non-SEO ma che saltuariamente producono articoli SEO taggandoli in tal senso e mettendo a disposizione i feed per specifici tag. Per questa ragione, non mi è stato possibile individuare nemmeno coloro che di SEO parlano una volta ogni tanto, magari per segnalare novità importanti del settore.

La varietà di articoli SEO in Italia

Qui il fenomeno è tipico di tutti i settori: a creare articoli nuovi ed originali sono in pochi, tutti gli altri si limitano a fare report di notizie che arrivano dall’estero.

Entrambe le tipologie di articoli possono essere di qualità ma le novità estere riportate sono solo le principali e quindi capita che tra le notizie in italiano di SEO Quotidiano vi siano due o tre articoli che riportano la stessa novità.

Questo fenomeno avviene molto meno frequentemente nella colonna delle news in inglese, perché la varietà di argomenti trattati è estremamente più ampia e SEO Quotidiano riesce a fornire al lettore sia le novità più importanti sia gli articoli dedicati a notizie secondarie ma comunque interessanti.

La qualità di articoli SEO in Italia

La percezione di qualità è soggettiva, tuttavia io ritengo che la qualità degli articoli italiani sia alta, in particolare quella degli articoli che vengono scritti sulla base di un’idea originale o di una considerazione intelligente. Ma anche gli articoli che riprendono news dall’estero sono solitamente gestiti con cura da chi se ne occupa.

Un business mancato per gli italiani?

Mi è stato fatto giustamente notare da Fabrizio Ventre che i SEO non hanno molto tempo per scrivere articoli, visto che fanno il lavoro di SEO.

Le ragioni per le quali all’estero ci riescono e qui non ci riusciamo sono a mio giudizio almeno due:

  • chi all’estero scrive di search marketing e di motori di ricerca non necessariamente fa il SEO di professione, magari di mestiere fa proprio il blogger del settore
  • in Italia il modello è meno replicabile per una questione di volumi inferiori, come mi faceva notare Cesarino Morellato

Io ci aggiungo anche: in italia forse manca l’interesse a farne un business o una professione.

Sulla replicabilità del modello di SEM blogging in Italia, ci sono due aspetti che vorrei evidenziare. Il primo è che l’interesse nel settore da parte di aziende e professionisti è destinato a crescere, sopratutto tenendo conto dell’ampliamento di temi che il search marketing sta vivendo a seguito del fenomeno social.

Come detto altrove, magari si fa fatica a chiamarlo ancora “SEO” ma è indubbio che di fermento ce n’è tanto e che, da quello che osservo personalmente e attraverso l’esperienza di amici e colleghi, la richiesta di servizi SEM da parte delle aziende non accenna a diminuire, anzi…

Il secondo aspetto riguarda l’alimentazione del mercato: se da un lato è vero che esiste una crescita fisiologica, questo non significa che la velocità di crescita non possa essere incrementata investendo in marketing, eventi e facendo il possibile per raggiungere ed evangelizzare non solo coloro che conoscono già il settore ma sopratutto coloro che attendono ancora qualcuno in grado di instradarli nel search marketing.

I volumi ancora bassi dei quali ci lamentiamo, e che non giustificherebbero ancora un business fondato sul “giornalismo SEM”, sono in parte dovuti al fatto che gli investimenti di chi opera nel settore hanno solo l’obiettivo di portare benefici a sé, non al settore nel suo complesso, se non indirettamente. Per esempio, di “consorzi” o “associazioni” che potrebbero avere l’obiettivo di far conoscere di più (e bene) il search marketing all’aziende non c’è, nella pratica, alcuna ombra.

Il risultato di tutto ciò è che il giornalismo SEM viene visto in Italia come qualcosa da fare nel tempo libero; e se di tempo libero non ce n’è, pazienza.

E quindi, anche osservando quanto il progetto di Motoricerca.net abbia avuto vita lunga, chiedo da semplice utente a chi ne sa e capisce più di me: è davvero impossibile sperare in Italia nella crescita di un giornalismo specializzato in questo settore? Come sono messi, a confronto, altri settori come quello del social marketing?

P.S.
E se avete fonti SEM interessanti da segnalare per SEO Quotidiano, basta dirlo! 🙂

Marketing Myopia applicato al search marketing

Un po’ di tempo fa mi sono imbattuto in un documento che molti markettari troveranno familiare ma che il sottoscritto sconosceva del tutto. Si trattava di “Marketing Myopia” (qui un PDF), scritto da Theodore Levitt e pubblicato su Harvard Business Review nel 1960.

Nell’articolo Levitt illustra le criticità che possono nascere quando un’azienda è così fortemente focalizzata sul proprio prodotto da perdere di vista i consumatori e le loro reali necessità.

Tale miopia non permette alle aziende di rendersi conto che i clienti potenziali non sono coloro potenzialmente interessati ad acquistare il loro prodotto bensì coloro che sono interessati a soddisfare un bisogno nel migliore dei modi. Tale miopia non consente alle imprese di cogliere nuove opportunità e di crescere.

Gli esempi proposti da Levitt vanno dal settore ferroviario, che non percepì sé stesso nel più ampio mercato dei trasporti, a quello cinematografico, che non percepì sé stesso nel più ampio mercato dell’intrattenimento.

A distanza di cinquanta anni le cose sono un po’ cambiate, ovviamente, ed oggi è impossibile trovare un film animato che non vada di pari passo con la produzione di giocattoli, merchandise, videogiochi, CD, giostre nei parchi a tema, suonerie per cellulari e qualunque altra cosa possa essere ricondotta al mondo dell’intrattenimento.

Per fare un esempio più attuale, è di pochi giorni fa la notizia che la più grande compagnia americana di wrestling, la WWE, ha deciso di bandire completamente il termine “wrestling” o “wrestler” dalla propria comunicazione per proporsi d’ora in poi come una più generica azienda di intrattenimento. Al calo di interesse registrato (già da anni) su uno specifico prodotto, la WWE ha reagito ridefinendo il proprio mercato di riferimento e, come conseguenza, il proprio prodotto.

La miopia nel search marketing

Don't panic!
Nel 2008 mi son ritrovato a dover rivedere il mio approccio alla professione di SEO, dietro la spinta di due necessità:

  • trovare il modo di far percepire di più ed applicare meglio le mie capacità
  • abbracciare il fenomeno “social” in quanto ormai strettamente legato al SEM

Dei due, è il secondo punto che potrebbe rappresentare la criticità maggiore per quelle aziende o consulenti che nel corso degli anni si sono specializzati sul search mantenendo il proprio focus su questo canale.

La criticità non nasce tanto dal fatto che sia intrinsecamente pericolosa una specializzazione, quanto nel fatto che a imporre un’evoluzione del search marketing è il mercato, non limitato all’universo dei consumatori.

Gli stessi motori di ricerca, nell’ampliare le loro analisi del web, hanno da tempo incluso il monitoraggio di segnali social e sistemi per la personalizzazione delle ricerche. Volente o nolente, questi cambiamenti impongono una gestione del search più attenta alle tematiche sociali e più vicina ai comportamenti della gente.

Dalle aziende non ci si può aspettare una reazione spontanea e immediata ai mutamenti del mercato. Quando le agenzie del settore search passarono dalla fase spammosa alla fase seriosa non fu per lungimiranza o per maturità di una visione del mercato ma perché tra il 2004-2005 Google iniziò a fare il culo alle pagine doorway, imponendo a tutti un’evoluzione. Punto.

La stessa identica sensazione di costrizione l’avverto da qualche anno e diventa sempre maggiore: in piena epoca interattiva, su un web generato e valutato sempre più dagli utenti, un cambiamento del “prodotto search” è a mio parere inevitabile. Si tratta di un’inevitabilità che non presenta gli stessi elementi di repentinità di quando Google iniziò a penalizzare le doorway, ma rimane comunque un passo che molti comprenderanno essere necessario.

Per usare una metafora darwiniana, le condizioni ambientali sono cambiate e ci si aspetta che le specie si adattino. Fortunatamente per chi lavora nel search marketing, i mutamenti non sono ancora particolarmente repentini (ma occhio alle accelerazioni) e questo darà più tempo per adattarsi a quei soggetti molto specializzati, che in condizioni di maggiore repentinità dei cambiamenti di habitat sono solitamente i primi a soccombere.

Il settore del search marketing è destinato a focalizzarsi un po’ meno sul search ed un po’ più sul marketing: ogni atteggiamento contrario va considerato miope e un ostacolo alla crescita del proprio business.

Cambiar pelle è difficile

Tre anni fa non avrei mai immaginato che avrei smanettato con le pubblicità di Facebook, sviluppato tool per Twitter, monitorato in tempo reale le ricerche degli italiani su Google o analizzato il buzz online, eppure queste attività sono arrivate come semplice conseguenza di un cambiamento della società e di un ampliamento degli interessi del sottoscritto.

Esistono però almeno tre grandi limiti che, in base alle mie osservazioni, rallentano tale evoluzione, che è sia culturale sia di business:

  • La rigidità delle strutture già esistenti
  • Il mito della specializzazione
  • L’amor proprio

Di fronte alla necessità di cambiare bisogna fare i conti con la propria natura. Se per un consulente freelance la libertà di scelta può tradursi facilmente in una modifica della propria professione, lo stesso non si può dire per le aziende, che possiedono strutture ben definite e più difficili da modificare.

Per le aziende il cambiamento è più difficile se la struttura è stata cucita in maniera molto aderente attorno ad uno specifico prodotto, ai ruoli necessari ad erogarlo e ai flussi necessari a gestirne la produzione. Se prodotto e flussi possono essere ridefiniti con una cerca agevolezza, una ridefinizione dei ruoli deve fare i conti con l’organigramma esistente e con le persone assunte.

Il problema è particolarmente critico perché un’evoluzione del search che abbracci il social deve passare attraverso l’acquisizione di nuove competenze (anche incamerabili attraverso nuove assunzioni) e può comportare la parziale inadeguatezza dei dipendenti preesistenti.

Perché? Perché i migliori SEO che conosco sono per costituzione dei nerd ipercritici, a volte anche rompicoglioni olimpionici; tali elementi caratteriali sono funzionali a trovare errori da correggere (questo fa il SEO) ma che siano compatibili con l’universo social è tutto da dimostrare…

Esiste anche una seconda inadeguatezza, quella relativa ad altri ruoli necessari a mandare avanti la baracca: reparto vendite e accounting. Ma se trattassi adesso questo aspetto rischierei di uscire fuori discorso e di invadere quello ben più ampio su cattedrali e bazaar. Forse in futuro scriverò qualche considerazione anche su questo aspetto.

Il secondo limite è quello del mito della specializzazione. Si noti: non il fatto che un’azienda o un consulente siano specializzati quanto il fatto che alla specializzazione venga assegnato un valore talmente alto da ritenere questa caratteristica irrinunciabile o non modificabile. E’ questa visione che a mio giudizio costituisce un limite alla crescita in condizioni di trasformazione di un mercato.

Ho già indicato il danno che una specializzazione estrema produce in una fase di cambiamenti repentini del mercato: tali soggetti sono i primi a farne le spese. Vale però la pena di specificare che per le aziende o, più in genere, per i gruppi di professionisti è possibile mantenere la propria specializzazione su un settore senza rinunciare ad ampliamenti delle competenze su nuove discipline. L’importante è investire nuove risorse (personale, tempo) nell’acquisizione delle nuove competenze senza sottrarne al search.

Il terzo limite è quello dell’amor proprio, sul quale mi posso esprimere solo limitatamente allo scenario italiano, non avendo grande visibilità di quanto avviene altrove.

Mi è capitato di osservare più volte dei SEO che hanno fatto della propria scelta professionale una scelta filosofica. In parte, questo fenomeno è legato alla psicologia dei SEO, sulla cui ipercritica mi sono già espresso qualche paragrafo fa. Altre volte dipende da una semplice mancanza di interessi. Altre volte ancora è la conseguenza di un atteggiamento elitario, che per anni ha remato contro una reale integrazione tra SEO e SEA, rinunciando ai benefici che da essa possono derivare.

Lo stesso amor proprio, la stessa miopia, rischia adesso di costituire un limite ad accogliere le nuove evoluzioni che il search marketing sta affrontando. Una eccessiva gestione a compartimenti stagni, una fossilizzazione nelle stesse attività svolte negli anni, un disinteresse a priori nei confronti di fenomeni che influenzeranno sempre più il comportamento delle stesse persone che fanno ricerche sui motori, rischia di trasformare eccellenti professionisti SEO in eremiti fuori dai giochi.

Non c’è utilità nel search marketing se non viene integrato nelle più ampie strategie di marketing delle aziende; allo stesso modo non c’è utilità per i professionisti SEO se non comprenderanno che il proprio ruolo è funzionale ad obiettivi che si raggiungono attraverso la collaborazione tra canali diversi, che a volte possono anche convergere, come sta avvenendo in parte tra search e social.

Essere pronti ai cambiamenti già in corso significa semplicemente trovare una formula che concili passione ed esigenze, predisposizioni ed obiettivi dei clienti, esperienze acquisite e crescita culturale.

Questo scopo non implica dover sovvertire la propria natura professionale, ma implica che il timore del cambiamento deve essere messo da parte e che ci si muova per ottenere le migliori condizioni per affrontare le nuove sfide.

Google: our like button is not a like button

Logo di Google +1Stavo leggendo con attenzione i testi della pagina di Google +1 e l’unica considerazione che mi viene in mente di fare è la seguente: è dura spiegare che cosa è senza usare il verbo like, eh? 😀

In bocca al lupo per l’ennesimo tentativo.