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Mostrilioni di backlink: quello che succede a vendere PageRank

Conteggio dei backlink

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Quello che segue è il resoconto di una penalizzazione su un mio sito web, volutamente protatta per oltre due anni al solo scopo di studiarne lo sviluppo naturale e trarne lezioni SEO utili per il futuro. Oggi condivido con voi quello che ho imparato.

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I vantaggi di reinventare la (SEO) ruota

ingranaggi-moderni

Molti anni fa su un gruppo di discussione su Internet lessi un informatico che stava cercando di progettare un nuovo algoritmo di ricerca di pattern nei testi. Un secondo informatico gli chiese: “Esistono già molti buoni algoritmi di ricerca. Perché reinventare la ruota?” ed il primo rispose: “Perché a me serve un razzo.“.

A distanza di tanti anni ricordo ancora distintamente quella discussione perché in poche parole riusciva a dipingere uno scenario piuttosto comune tra quelle comunità che dovrebbero investire parte del proprio tempo in ricerca e sviluppo e che invece preferiscono adagiarsi alla comodità di quanto già esiste, persino quando non opportuno o non conveniente.

L’espressione “reinventare la ruota” è stata sempre sfruttata per evidenziare esclusivamente l’apparente perdita di tempo (e denaro) nel cercare di ottenere qualcosa che esiste già.

Se da un lato questo tentativo di dissuasione appare figlio del buonsenso e del tutto giustificato, dall’altro però è necessario precisare che il tempo speso nel reinventare una ruota va considerato un investimento azzardato esclusivamente quando si tenta di ottenere esattamente la stessa ruota.

Dunque mi chiedo: che effetti negativi possono scaturire da questi tentativi di dissuazione se poi bloccano sul nascere anche quei percorsi di ricerca che potrebbero far emergere soluzioni migliori a problemi apparentemente già risolti in via definitiva?

Avete mai avuto l’impressione che l’ambiente attorno a voi preveda che la ruota debba girare in un preciso modo ma che nessuno sappia esattamente il perché?

Questo articolo è dedicato alle ruote che nessuno vuole reinventare e a quelle dentate degli ingranaggi industriali, tra le quali si rimane incastrati quando si decide di seguire ciecamente i binari tracciati da altri. Compresi i binari della SEO.

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Perché il filtro anti-pubblicità di Google non è un filtro anti-pubblicità

Recentemente Google ha annunciato l’introduzione di un nuovo filtro che ha effetto sui risultati delle ricerche. Il filtro abbasserà la posizione di quei siti web che non mostrano in cima alle pagine il contenuto che dà risposta alla query dell’utente ma che costringono quest’ultimo a fare scroll per visualizzare quanto effettivamente di suo interesse.

A causa dei meccanismi tipici della comunicazione online (un mix micidiale di fonti poco chiare e condivisori che vanno sempre di fretta) il messaggio arrivato a diversi SEO è che il nuovo filtro colpisca i siti con troppa pubblicità e banner in cima alle pagine.

Questa è una semplificazione eccessiva della novità introdotta e vorrei spiegarvi perché questa interpretazione rischia di causare qualche danno se diffusa e perché conviene ragionare quache minuto in più sulla natura del nuovo algoritmo.

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Google contro Google: l’assurda convinzione che esista un solo Google

Penso di non aver mai scritto un titolo così tanto vittima del keyword stuffing ma visto che si tratta di un risultato non cercato ritengo di poterlo classificare tra le spontanee e fisiologiche conseguenze di una mancanza di ispirazione.

Mi va di scrivere qualche riga a seguito della recente notizia che ha visto Google penalizzare sé stesso dopo aver commissionato a terzi una campagna di marketing che ha prodotto post promozionali (e qualche backlink che passava PageRank) su vari blog, con l’apparente obiettivo di pubblicizzare un video di Google Chrome.

Non tratterò la notizia in sé (potete approfondirla in questo articolo di SearchEngineLand) ma vorrei chiarire un aspetto che ho notato essere poco chiaro a diverse persone che per un motivo o l’altro sono costrette ad avere a che fare con Google: l’assurda convinzione che si tratti di un singolo soggetto o entità.

Premessa ai fanboy e ai “èilsolitomagnamagnari”

Io ho sempre preferito riflettere col cervello invece che con la pancia, penso che il prodotto finale sia più apprezzabile.

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Le 10 cagate SEO di cui non si dovrebbe parlare più

MAI più.

Inizio questo post con una doverosa precisazione: il termine “cagate” viene usato in questo articolo con l’accezione di “cose di poco conto” e non con quella di “cose di nessun conto”.

Via via che il ricambio generazionale SEO avanza, è inevitabile che su forum, blog e social network vengano riproposte domande e questioni di vecchia data.

Da un lato questa riproposizione va un po’ a beneficio delle nuove generazioni (che comunque hanno a disposizione i motori di ricerca ed un intero web sul quale sono state ripubblicato centinaia di volte le stesse risposte), altre volte tali argomenti riemergono anche tra chi fa SEO da anni, dietro la spinta di nuovi dubbi o perplessità.

SEO urlo

Copyright © Fabio Agostini

Dopo tanti anni di osservazione, ritengo che esista una gigantesca convenienza a mettere una pietra sopra certi argomenti, limitarsi a imparare l’ABC su di essi e investire meglio il proprio tempo occupandosi di questioni più concrete e utili.

Non è un caso che gli argomenti che elencherò vengano discussi lo stretto indispensabile (pochi minuti durante l’intera carriera?) dai SEO che reputo più esperti e periodicamente dai SEO che non ne sopravvalutano l’importanza.

Vi presento dunque una mia personalissima lista di cagate sulle quali sarebbe intelligente smettere di chiacchierare.

Se in futuro qualcuno inizierà a parlarvi dei seguenti argomenti, rimandatelo al presente post: l’interlocutore troverà la sua risposta definitiva e voi avrete investito nella discussione solo i pochi secondi che merita.

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